L'ANALISI
14 Novembre 2020 - 14:44
Davide Bertani, condirettore di LombardiaNotizieOnline, ci accompagna con il professor Nino Stocchetti e il dottor Nicola Bottino nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale in Fiera a Milano e ci propone un’intervista alla cremonese Annalisa Malara, la dottoressa che per prima a Codogno “scoprì” il “paziente 1” in Italia e che, per sua scelta, oggi opera nella struttura milanese.
"Di fronte a una calamità, la strategia vincente è quella di prepararsi in anticipo: questo è il concetto che ha portato alla costruzione rapidissima dei posti letti in Fiera" afferma Stocchetti. "La nostra capacità attuale è di una sessantina di posti letto. Entro la fine della settimana prossima, dovremmo avere tra i 70 e gli 80 pazienti a regime. Questo lo interpreto come un segnale di efficienza dell'Ospedale in Fiera, ma anche come un segnale di bisogno crescente di ricovero dei malati".
"Una degenza lunga quella dei pazienti in terapia intensiva - spiega Nicola Bottino a Lombardia Notizie - due o tre settimane sono quasi sempre necessarie. In alcune situazioni le cose si prolungano addirittura ulteriormente". "Noi - aggiunge Bottino - abbiamo curato il primo paziente trapiantato di polmone, insieme ai colleghi del San Raffaele, ottenendo un bel risultato, ma adesso ci attende purtroppo la seconda ondata e dobbiamo rimboccarci di nuovo le maniche".
Restituire l'aiuto preziosissimo e vitale ricevuto a marzo e aprile, quando il Lodigiano è stato il primo territorio colpito dal Covid, è il motivo che ha spinto Annalisa Malara, il medico anestesista che 'scoprì' il 'paziente 1' Mattia Maestri, a spostarsi all'Ospedale della Fiera. "In quel momento non saremmo riusciti con le nostre forze a curare tutte quelle persone che arrivavano a ondate in Pronto Soccorso - ha raccontato Malara a Davide Bertani che ha raccolto la sua testimonianza per Lombardia Notizie. "Sono felice di essere qui. E' un modo bellissimo di condividere la nostra esperienza clinica con i colleghi e rendere così l'aiuto che abbiamo ricevuto nella prima fase". "Abbiamo avuto la possibilità, su base volontaria - aggiunge la dottoressa - di venire a dare una mano in Fiera a Milano per restituire l'aiuto preziosissimo e vitale che abbiamo ricevuto a marzo e aprile. Ho trovato colleghi ben disposti e sono felicissima di essere qui". Ricordando la sera de ricovero di Mattia, aggiungo: "Mi piace ricordare quella sera come un esempio di lavoro fatto con la testa e con il cuore. Abbiamo cercato, con la mia equipe, di offrire le migliori chance diagnostico-terapeutiche possibili, per questo motivo non mi sono sentita di escludere a priori la possibilità che si trattasse di Coronavirus, andando oltre le conoscenze dell'epoca e i protocolli in vigore e chiedendo comunque questo tampone che, in quel momento non era visto come necessario perché non era un paziente considerato a rischio. Cercando però di trattarlo al meglio, avendo come obiettivo primario la centralità del malato, non ho potuto esimermi dall'effettuare anche questa indagine che poi si è rivelata purtroppo positiva e ha dato inizio a quella che ormai conosciamo come una delle più grandi crisi sanitarie degli ultimi 100 anni".
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