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CORONAVIRUS

Così lavorano i «contact tracer» cremonesi

I «detective anti-Covid» hanno il compito di ricostruire la catena del contagio contattando i casi presunti ed effettivi

Cinzia Franciò

Email:

cfrancio@laprovinciacr.it

10 Ottobre 2020 - 07:15

Così lavorano i «contact tracer» cremonesi

CREMONA (10 ottobre 2020) -  Primo piano dell’Edificio A, ultima porta a destra in fondo al corridoio. Il telefono squilla di nuovo. Luigi Vezzosi, dirigente medico del Servizio Prevenzione delle Malattie Infettive, risponde con gesto automatico. All’altro capo c’è una pediatra: uno dei suoi piccoli pazienti presenta i sintomi di una potenziale infezione da Coronavirus. La nonna del bimbo, pochi giorni fa, era già risultata positiva al Covid-19. Vezzosi punta lo sguardo verso il monitor, su cui campeggiano – ordinati in una rigorosa sequenza di righe e colonne – nomi, numeri di telefono e annotazioni: il database della piattaforma Arco, appositamente progettata e realizzata da Ats Val Padana per sistematizzare le segnalazioni. Quella appena raccolta da Vezzosi è solo l’ennesima di un’ordinaria mattinata in epoca Covid.

Ogni giorno, in questa fase, sono circa 500 gli allarmi che vengono gestiti dall’équipe dei «contact tracer» dell’Ats: medici e assistenti sanitari che, come veri e propri detective, hanno il compito di decifrare la catena del contagio telefonando ai casi presunti ed effettivi, ricostruendone gli spostamenti e rintracciando i contatti stretti. Una mole di centinaia, a volte migliaia di telefonate. La maggior parte delle segnalazioni avviene per via telematica e confluisce sul portale Mainf di Regione Lombardia: le notifiche provengono da medici di base, pediatri, medici di continuità assistenziale, ospedalieri e referenti di Rsa e cliniche private. A queste si affiancano le e-mail, le telefonate e anche le segnalazioni dei rientri dall’estero registrate sulla piattaforma dedicata. Ognuna fa scattare una specifica inchiesta telefonica.

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