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Coronavirus, per musei e teatri non basta riaprire

Andrea Rurale della Bocconi ha avviato una ricerca sul campo per studiare la situazione del settore cultura e pensare le strategie

Nicola Arrigoni

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cfrancio@laprovinciacr.it

28 Aprile 2020 - 06:54

Coronavirus, per musei e teatri non basta riaprire

Andrea Rurale

CREMONA (28 aprile 2020) - Fase 2, riapertura, ma a che costo? A riflettere sulle prospettive che attende il sistema cultura dai musei ai teatri è Andrea Rurale, direttore dell’Arts and Culture Knowledge Centre dell’Università Bocconi e direttore del Master in Arts Management and Administration. Andrea Rurale è inoltre presidente dell’Istituto Superiori di Studi Musicali Claudio Monteverdi e membro del cda di Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli. Con l’Arts and Culture Knowledge Centre «stiamo studiando se e come l’emergenza del Covid19 abbia messo in evidenza alcuni processi manageriali interni alle istituzioni culturali, ossia se con l’occasione di questa crisi, ci siano elementi che meritano di essere rivisti — spiega Andrea Rurale —. Cerchiamo di capire in che modo si possa agire in merito alla sostenibilità economica, piuttosto che al rapporto con il territorio, spaziando dalle attività di marketing off/on line fino alle ridefinizioni di strategie di reazione. Per questo abbiamo distribuito un questionario pochi giorni fa a tutti i musei statali, alle fondazioni lirico sinfoniche e ai teatri di tradizione e contiamo di chiudere la fase di analisi entro una decina di giorni. I dati ci aiuteranno a capire come stia reagendo alla situazione il settore, quali siano le iniziative messe in atto e con questi dati cercheremo di comprendere come l’intero sistema possa agire e rinnovarsi».

Conoscere per poter reagire con consapevolezza è questo il senso della ricerca conoscitiva sul settore cultura, ma certo la Fase 2 permetterà l’apertura dei musei, con ingressi contingentati. In merito però osserva Andrea Rurale: «Va tenuto conto del fatto che permettere ai musei di riaprire con le dovute precauzioni non comporta assolutamente che la gente ai musei ci vada. E a volte tenere aperto un museo per pochi visitatori al giorno e senza alcun evento a pagamento ha un costo più alto, rispetto a una sua chiusura, quindi sarebbe auspicabile che ogni istituzione potesse valutare, dati alla mano, se l’apertura auspicata anche grazie al nuovo decreto sia sostenibile sempre o vada esplorata gradualmente».

Come dire che non basta aprire, bisogna capire la sostenibilità di un’operazione il cui valore simbolico di ritorno alla normalità rischia di esaurirsi presto, sotto il peso di costi non sopportabili in una situazione come questa.

Si brancola completamente nel buio per quanto riguarda, invece, le sale da spettacolo e da concerto, una indeterminatezza che il professore della Bocconi commenta così: «Rispetto ai teatri la situazione è ancora poco chiara, perché auspicare la loro riapertura significa non comprendere il rischio dell’assembramento, ma soprattutto si dà per scontato che una volta aperti i teatri torneranno ad essere pieni di gente. Fino al prossimo anno ogni tipo di attività è impensabile alle stesse condizioni di prima».

Per questo motivo e per l’interesse e funzione pubblici rivestiti dall’intero comparto culturale, in un paese come l’Italia, diventa più che mai determinante l’intervento del pubblico, dello Stato in un momento in cui la ricerca fondi da parte di privati appare più che mai improbabile. Ed in merito Rurale afferma: «In definitiva non servono finanziamenti a tasso agevolato, bensì contributi a fondo perduto, è impensabile rialzarsi da una situazione simile, senza una iniezione di liquidità e un supporto concreto ai giovani che studiano e vogliono lavorare in questo settore, che deve essere premiante in qualità e non solo, come avviene ora nel meccanismo di ripartizione di fondi ministeriali allo spettacolo, teso a premiarne la quantità».

E proprio sulla tutela di chi lavora nel comparto il docente della Bocconi sottolinea come: «Rispetto agli integratori salariali del comparto culturale esistono strumenti che però lasciano fuori completamente coloro che hanno un tipo di contratto di tipo intermittente. Si pensi alle guide interne ai musei, chiamate quando ci sono gruppi in visita o alle maschere di un teatro che lavorano solo quando c’è spettacolo. Il paradosso è che si tratta di persone che hanno un contratto in essere. Non sono stati licenziati in tempo prima del lockdown e quindi non possono beneficiare della indennità di disoccupazione e per di più la loro tipologia contrattuale non prevedere il ricorso nemmeno alla Cassa integrazione. E i teatri e via salendo fino al ministero di questo problema non possono disinteressarsi». Più di un pensiero va per Rurale al sistema Cremona: «Una città come Cremona deve individuare nel suo patrimonio museale e teatrale — conclude —. credo che sia importante che tutte le realtà della città lavorino insieme per una comune rinascita. L’idea di fare sistema non è uno slogan che può piacere o meno, ma è diventato una necessità. Il singolo museo o il singolo teatro non vanno da nessuna parte. È solo unendo le forze che si può pensare ad una rinascita reale e condivisa».

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