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VIADANA

Delitto Gobbi, in tre a processo
E l’Antimafia apre un fascicolo

Il movente sarebbe il debito di 150mila euro del cognato, Luciano Bonazzoli. Anche la Dda apre un'inchiesta

maria grazia teschi

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mteschi@laprovinciacr.it

25 Settembre 2015 - 10:53

Delitto Gobbi, in tre a processoE l’Antimafia apre un fascicolo

Giorgio Gobbi e i rilievi del Ris

VIADANA  - Ci sono dono inchieste aperte e tre uomini a processo per il delitto Gobbi, il 43enne di Cicognolo, originario di Rivarolo, trovato senza vita nel bagagliaio della sua Range Rover nel parcheggio di un centro commerciale di Parma la sera del 5 dicembre. La Procura di Mantova sta per firmare la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio volontario e occultamento di cadavere a carico di tre persone, accusate di aver organizzato e messo in atto l’assassinio del 43enne di Cicognolo: il cognato, Luciano Bonazzoli, 48 anni, reo confesso dell'omicidio per una vicenda di debiti all’interno della sua azienda di Viadana, la Luma srl , un amico che lo avrebbe aiutato, Roberto Infante, 50enne artigiano edile, noto organizzatore di eventi nella Bassa, e un terzo uomo, un piccolo imprenditore 47enne di Porto Mantovano, ritenuto responsabile di aver fatto sparire l’arma del delitto, un fucile da caccia a doppietta, ritrovato nel canale Diversivo a Soave qualche giorno dopo il delitto.

La pista dei soldi, 150mila euro, ha spostato gli investigatori in un altro contesto, in ambienti legati alla ’ndrangheta. Per questo è stato aperto un fascicolo alla Dda di Brescia. Lo ha confermato il procuratore di Brescia Tommaso Buonanno.

«Secondo le valutazioni degli investigatori questo omicidio evidenzierebbe l'esistenza di un contrasto interno alla ’ndrina. Quindi, il potere di Nicolino Grande Aracri, secondo questa ipotesi, sarebbe stato messo in discussione in modo plateale». Un segnale, quindi, all'indirizzo del grande boss, lanciato, secondo gli investigatori da Francesco Lamanna, “Franco u testoni"”, il referente dei Grande Aracri nei cantieri del Cremonese, ma con interessi ramificati anche nel Mantovano, finito nella rete dell'operazione Aemilia e già condannato per associazione mafiosa. Lamanna in particolare, era in stretti rapporti con imprenditori del settore del movimento terra e manteneva i rapporti con la casa madre di Cutro, decidendo le azioni di ritorsione nei confronti dei partecipi che contravvengono alle regole fissate dalla cosca. 

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