L'ANALISI
18 Marzo 2025 - 05:20
Nel riquadro il dg Alessandro Cominelli
CREMA - 'Pillole di salute' è la rubrica che, da giovedì, arricchirà le pagine de La Provincia di Cremona e Crema, ma anche il sito della testata con interviste video, con cadenza quindicinale. Protagonisti saranno i medici dell’ospedale Maggiore di Crema, affrontando i temi legati alle rispettive specialità. A illustrare le valenze dell’appuntamento, che prenderà il via con l’intervento del primario della struttura complessa di Neurologia Luigi Caputi, è lo stesso direttore generale dell’Asst, Alessandro Cominelli.
Se la prevenzione è l’alleata più preziosa della salute, l’informazione ne è l’arma più efficace. È in quest’ottica che si inserisce la rubrica in collaborazione con La Provincia di Cremona e Crema?
«Prevenzione e informazione sono facce della stessa medaglia. La prevenzione ci consente di agire sui fattori di rischio e può permettere un intervento tempestivo attraverso la diagnosi precoce, per ottenere una maggior efficacia della cura, mentre l’informazione è la base dalla quale partire per promuovere la conoscenza in termini di salute e comportamenti da adottare. La rubrica in collaborazione con La Provincia ha lo scopo di fare chiarezza su tematiche non sempre conosciute».
L’Asst da lei diretta, nonostante o forse in virtù di un bacino d’utenza a misura d’uomo, presenta eccellenze a livello scientifico. Al di là della dedizione dei singoli, immagino derivi da una precisa strategia. Quale?
«È un’azienda a misura d’uomo, che da un lato favorisce il contatto con la persona e l’ascolto, dall’altro agevola la capacità di lavorare insieme, intervenendo in modo tempestivo, integrato e multidisciplinare. In questo contesto si sono sviluppate e consolidate eccellenze, riconosciute a livello nazionale e internazionale. Confermo la volontà di crescere e di diventare punto di riferimento nelle reti regionali. La strategia è chiara, reclutare primari e loro collaboratori in grado di continuare ad elevare il livello della nostra azienda, sviluppando tecniche all’avanguardia. Se è vero che abbiamo eccellenze e che le stiamo arricchendo, è altrettanto vero che stiamo cercando d’innalzare ulteriormente il livello medio di tutti i servizi, intervenendo in primis sul livello tecnologico delle attrezzature e sulle skill del personale. Una strategia che, auspichiamo, faciliti la capacità di attrarre giovani talenti».
Dar voce ai singoli specialisti è anche un modo per indirizzare gli stili di vita. Dal suo osservatorio, quale individua, tra i comportamenti a rischio, come il più difficile da contrastare?
«L’abitudine è certamente l’attitudine più difficile da debellare. L’abitudine impedisce alle nuove conoscenze di attecchire e trasformarsi in comportamento virtuoso e ostacola l’accoglimento dell’innovazione e dei benefici che ne derivano. Gli esempi sono molti: dall’alimentazione non sana, al fumo, alla scarsa attività fisica. Si tratta di comportamenti collegati fra loro, che incidono in modo integrato sulla salute. L’obiettivo che ci poniamo è allungare l’aspettativa di vita di qualità e in salute. La sfida della prevenzione è la vera scommessa di questi anni, che dobbiamo vincere anche con il coinvolgimento e il supporto della medicina territoriale».
Conciliare le esigenze di bilancio con la qualità della cura rappresenta, immagino, la sfida principale a livello manageriale. Come viene affrontata dalla direzione strategica?
«Ottimizzare le risorse è indubbiamente una sfida, ma Crema ha dimostrato di saperlo fare. È fondamentale definire le priorità, gestire in modo integrato le risorse e, soprattutto, investire nell’aggiornamento tecnologico. Abbiamo acquistato attrezzature in grado di ridurre considerevolmente i tempi di alcuni interventi. Questa è la via maestra. Puntare sulla tecnologica per aumentare l’efficienza e garantire la massima sicurezza per operatori e pazienti. Il Covid ci ha insegnato che la spesa per la sanità non è mai un costo, bensì un investimento».
Il Covid ha colpito nel Cremasco più duramente che in altre realtà lombarde. A distanza di cinque anni, quale l’eredità in termini di capacità di risposta lasciata in largo Dossena?
«Il Covid ha cambiato profondamente le vite di tutti noi. Crema ha vissuto con particolare drammaticità quei giorni. Il nostro personale sanitario si è dedicato con abnegazione e sacrificio al servizio della comunità. Sarà sempre vivo il ricordo di chi non ce l’ha fatta, così come di chi si è speso energicamente per la collettività. Oggi abbiamo nuove consapevolezze. Da un punto di vista organizzativo è rimasta la piena coscienza che lavorare insieme rappresenti il metodo per garantire le migliori cure. Dal punto di vista clinico, abbiamo lavorato per porre una rinnovata attenzione alla gestione ordinaria delle malattie infettive e abbiamo reso necessari livelli di protezione per pazienti, operatori e visitatori. Dal punto di vista infrastrutturale, infine, abbiamo rilanciato alcuni interventi sul Pronto soccorso e sulle terapie semi-intensive. Stiamo lavorando per rendere il nostro ospedale sempre pronto ad affrontare nuove sfide sanitarie globali. Tuttavia, sono convinto che il sentimento di resilienza che ci ha accompagnato debba ora lasciare spazio alla rinascita».
Le donazioni, sia da parte di privati sia di club di servizio, testimoniano l’attaccamento dei cremaschi al loro ospedale. Ciò nonostante, la vicinanza ai poli sanitari milanesi porta a una migrazione della cura. Un fenomeno da far rientrare, almeno per i casi che non necessitino di reparti iper-specialistici?
«L’ospedale di Crema è nel cuore dei cremaschi. Lo dimostrano le generose donazioni, prevalentemente per l’acquisto di strumentazione tecnologica. Il Maggiore rappresenta per tutti un punto di riferimento. La migrazione della cura esiste, in parte rientra in una logica programmatoria condivisa, in parte è fisiologica, una parte invece deve essere intercettata e gestita a Crema. L’Asst lavora in collaborazione con altre strutture lombarde in un’ottica di rete. La logica ‘Hub and spoke’ consiste nella capacità di prendere in carico un paziente e di trasferirlo, al bisogno, in reparti iper-specialistici di altre strutture. È altrettanto realistico pensare che ci siano migrazioni spontanee, che abbiamo il dovere d’intercettare per favorire cure di qualità e di prossimità nel territorio, poiché ne abbiamo le capacità. Non possiamo, però, non rimarcare che molti pazienti di territori limitrofi e non solo si rivolgono al nostro ospedale».
Il rovescio della medaglia è rappresentato dai tanti specialisti che, da strutture di maggiori dimensioni, scelgono Crema per lavorare. Quale l’attrattiva esercitata dal Maggiore?
«Crema è una città dove si vive bene. I professionisti che si sono trasferiti per operarvi testimoniano la vivibilità del territorio e vi lavorano volentieri. A Crema i giovani possono crescere professionalmente, ne viene valorizzato il potenziale, possono confrontarsi con facilità coi colleghi più esperti e lavorare in modo trasversale. Prossimità, multidisciplinarietà e domiciliarità sono concetti che si calano alla perfezione nel nostro territorio. Entro l’anno saranno ultimate le Case di comunità e l’ultimo Ospedale di comunità. L’integrazione col territorio potrà essere una leva di reclutamento. Occorre comunque tempo perché le persone prendano confidenza con le riorganizzazioni e la rubrica vuole essere un supporto».
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