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CREMONA. L'INTERVISTA

Deborah Compagnoni regina dello sci: i trofei, gli infortuni, l'amore per lo sport

L'ex campionessa azzurra è stata ospite giovedì sera al Relais Convento del Rotary Cremona Po, presieduto da Roberto Dall’Olmo

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

11 Giugno 2023 - 05:10

Deborah Compagnoni

Giorgio Guarneri, Deborah Compagnoni e Roberto Dall'Olmo

PERSICO DOSIMO - Anni Novanta da una parte c’era Alberto Tomba e dall’altra Deborah Compagnoni, la mela platonica si componeva sulle piste innevate, l’orgoglio azzurro volava e l’intero paese era conquistato dalla leggerezza di quei due atleti che facevano miracoli, compivano imprese mitiche con naturalezza, impegno e talento uniti. Oggi Deborah Compagnoni è una bella signora, capello corto a caschetto, camicetta bianca e pantaloni scuri, sobria e gentile eleganza per la signora delle nevi, ospite giovedì sera al Relais Convento del Rotary Cremona Po, presieduto da Roberto Dall’Olmo. La presenza della campionessa che vanta tre ori e un argento alle Olimpiadi invernali, tre ori mondiali, sedici vittorie in coppa del mondo con 44 podi è stata possibile grazie ad AutoTorino di cui era presente il patron Plinio Vanini e il responsabile della filiale di Cremona Emanuele Giboli.

Roberto Dall'Olmo, Marcello Ventura, Deborah Compagnoni e Emanuele Giboli

A parlare della passione per lo sci anche in pianura è stato il consigliere regionale Marcello Ventura che ha raccontato la sua passione per lo sport invernale e l’attività del Cremona ski team. Il racconto di Deborah Compagnoni in dialogo con Carlo Fognini è sulla scia dei ricordi e delle imprese ineguagliate, eppure nella mente degli italiani rimane indelebile quell’urlo del 1992 alle Olimpiadi di Albertville, dopo aver vinto il giorno prima l’oro del Super G e a quel dolore torna con un sorriso. «Difficile dimenticare, ma nella mia storia di atleta dopo i tanti infortuni, non mi sono mai fermata. Mi sono presa il tempo per recuperare e poi ripartire con determinazione, molto lavoro e un poco di istinto che non guasta, ma sempre con senso di responsabilità».

Deborah Compagnoni intervistata da Carlo Fognini

Senso di responsabilità che nasce da cosa?

«Innanzitutto dalla consapevolezza di far parte di una squadra e poi di avere un team che lavorava per me e con me. La responsabilità nei confronti di chi crede in te. Il far parte di una squadra ti permette di condividere, ti chiede di essere all’altezza, di concentrarti, di non perderti via, insomma di avere quel senso di responsabilità che ti fa valutare le cose che sono da fare e quelle no».

Che differenza c’è fra le atlete di oggi e quelle di quando lei gareggiava?

«C’è differenza di preparazione atletica che forse oggi è più spinta di un tempo, con esercizi che potenziano la massa muscolare, in una parola più palestra, più pesi. Il motivo è semplice: le piste oggi sono diverse, sono tendenzialmente più ghiacciate, più dure, richiedono una tecnica diversa da quella dei miei tempi, anche se lo sci rimane sempre lo sci».

Ovvero?

«Beh nel caso di mal tempo, di un imprevisto l’atleta tecnicamente preparato deve tirar fuori l’inatteso, forse l’estro che ti permette di affrontare l’imprevisto e questo o ce l’hai».

C’è la nuova Compagnoni fra le atlete di oggi?

Ride: «Ci sono molte ragazze che stanno facendo bene e che vincono, vincono e vincono. Penso a Federica Brignone, Sofia Goggia, Marta Bassino che stanno regalando allo sci italiano un’ottima stagione e che ben fanno sperare per le Olimpiadi Milano Cortina 2026».

Anche superando i record compiuti da Deborah Compagnoni?

«Assolutamente, i record esistono per essere superati, se poi questo accade nel segno del nostro tricolore e dell’Italia ancora meglio».

Che ricordo ha delle esperienze olimpiche e del villaggio olimpico?

«Io facendo sci alpino non avevo la possibilità di vivere la vita del villaggio, perché i luoghi di gara erano più decentrati, ma forse era un bene perché questo mi permetteva di rimanere concentrata. Altra cosa è quando sali sul podio, hai al collo una medaglia d’oro e ti accorgi che quella gara che hai fatto non è come le altre gare, ha qualcosa di speciale e che ti rimane dentro».

Che cosa si prova davanti al cancelletto prima di lanciarsi nella discesa?

Sorride e confessa: «Ci sono atleti che stanno lì mezz’ora prima del loro turno. Il mio skiman era sempre preoccupato che non arrivassi. Io preferivo presentarmi all’ultimo, avere meno tempo possibile per pensarci, non mi è mai piaciuto parlare con le mie avversarie e ascoltavo il minimo necessario i risultati delle gare precedenti. Per me era più importante concentrarmi su quello che avrei fatto non appena il cancelletto si apriva».

Quando ha capito che non poteva più gareggiare?

«Dopo gli ultimi infortuni e dopo che sono stata operata più volte al ginocchio. I tempi di recupero si facevano lunghi e la consapevolezza ha avuto la meglio sulla passione».

Come è cambiato l’ambiente dello sci oggi rispetto ai suoi anni?

«Mi sembra che si sia tutti un po’ più isolati. Io ricordo che alla fine delle gare ci si trovava a giocare a carte, a fare cose insieme. Oggi gli atleti sono più soli, quasi prigionieri del loro professionismo. Al tempo stesso oggi con i social è più facile essere conosciuti, diventare personaggi, ai miei tempi lo diventavi in base ai risultati e a quello che avevi fatto. Il mondo è cambiato, ma se devo dire cosa mi colpisce del contesto di oggi: è una professionalità spinta che forse ha eroso un poco l’aspetto umano e di condivisione di cui sempre lo sport si nutre, per questo è importante lavorare e appartenere a una squadra».

Anche se lo sci non lo ha certo lasciato, ha fondato Sciare per la vita.

«Credo che i valori mutuati dallo sport come quello dello spirito di corpo, il rispetto delle regole e del proprio corpo, insieme alla capacità di lavorare per gli altri e con gli altri siano fondamentali. Con Sciare per la vita ho voluto contribuire a iniziative sportive e non solo col fine di sostenere associazioni e aiutare i bambini attraverso proprio lo sci e i linguaggi dello sport raccogliendo fondi e promuovendo la cultura dello sport».

Inoltre è stata nominata Ambassador delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026, un ruolo importante e che declinerà come?

«Il mio compito è particolarmente legato alla sostenibilità ovvero a promuovere e raccontare come le Olimpiadi nel loro essere una grande manifestazione sportiva possano diventare un’occasione di investimento e sviluppo per il territorio, nel rispetto dell’utilizzo delle risorse e dell’ambiente. Voglio dire che la sostenibilità è sociale in primis, ovvero lavoreremo perché le Olimpiadi siano un volano di incontri, raccordi fra persone. La sostenibilità sarà anche quella di immaginare impianti che poi possano servire anche al di là delle Olimpiadi, che siano strutture funzionali all’evento ma anche al territorio, impianti legati all’inclusività, che accolgano anche chi ha disabilità, anche per questo il mio ruolo interessa anche le paraolimpiadi».

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