L'ANALISI
31 Ottobre 2022 - 05:05
CREMONA - «Ho preso una casa in affitto di 50 metri quadri — racconta Carlo Cottarelli, senatore del Pd —. Quando andremo a regime, penso che sarò a Roma dal lunedì sera al giovedì. Ma, in realtà, tutto dipenderà dalla Commissione Bilancio, di cui dovrei far parte: è quella che viene riunita con più frequenza, ogni decisione ha bisogno di una valutazione di tipo economico. Anche per questo mi sono affrettato a cercar casa».
È già proiettato avanti, il neo senatore. E commentando la prima settimana di attività politica, afferma: «L’emozione nell’entrare a palazzo Madama c’è stata, eccome: non è cosa da tutti i giorni sedersi su quegli scranni — racconta —. Non avrei mai immaginato di far parte del Senato: immaginavo che il Governo Draghi potesse esaurire naturalmente la legislatura. Poi così non è stato e sono qui. Nelle prime due sedute ero al fianco di Graziano Delrio, nella seduta per la fiducia al Governo, durata sei ore di fila, ho cambiato più volte posto. Ma l’assegnazione dei posti deve essere ancora fatta. La nomina dei sottosegretari è il prossimo step».
L’immagine di Cottarelli col trolley che sale al Colle aveva fatto il giro del mondo: era il 2018 e il Capo dello Stato si era affidato all’economista per tentare, all’indomani delle elezioni politiche e della prima trattativa fallita tra Lega e M5S per la nascita del governo gialloverde, la formazione di un Esecutivo tecnico. Incarico esplorativo che Carlo Cottarelli rimise pochi giorni dopo nelle mani di Sergio Mattarella, visto che si era concretizzata la prospettiva di un governo politico fondato sull’alleanza tra Salvini e Di Maio e l’indicazione di Giuseppe Conte alla presidenza del Consiglio. Ora, quel Cottarelli convive con l’attuale senatore: «Sono sempre io — ironizza — . Lascio agli altri le considerazioni, certo la chiamata al Colle da parte del Presidente presupponeva un altro tipo di responsabilità, ma sedere nelle fila del Senato è un compito importante».
E quando si parla della vita dei senatori è quasi scontato pensare alla Buvette, il ristorante dei senatori che nell’immaginario popolare ha prezzi stracciati, in barba ai rincari: «Non ci sono ancora stato». E il commissario alla spending review emerge quasi all’insaputa nel commentare il discorso di Giorgia Meloni: «Ci sono stati alcuni punti condivisibili. Ad esempio ho apprezzato la volontà di impegnarsi per la semplificazione burocratica, anche per facilitare il rapporto di collaborazione fra imprese e amministrazione pubblica. Ciò che lascia perplessi è l’assenza di riferimento alla giustizia sociale, sia in termini di giustizia redistributiva di tipo socialdemocratico che di giustizia di uguaglianza di opportunità, propria della cultura liberale. Non è stato fatto minimamente accenno né alla sanità, se non per un riferimento al Covid, né all’istruzione. È pur vero che siamo al cospetto di un governo nazionalista e sovranista, come si sono definiti. E le disparità sociali interne non sono all’ordine del giorno di chi intende rappresentare la nazione come un tutto unico compatto, individuando i problemi e le diseguaglianze solo come agenti che arrivano dall’esterno».
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