L'ANALISI
04 Settembre 2020 - 08:01
CREMA (4 settembre 2020) - «Siamo tutti a casa e in salute. Questa è la cosa più importante. Certo, increduli per quel che è successo. Se fisicamente va tutto bene, dall’esperienza ci stiamo ancora riprendendo, ma credo sia normale. Soprattutto per i bambini, per i quali è stato più difficile». A raccontare il rientro a Crema, con aria e tono sicuramente più sollevati rispetto alle telefonate intercorse con La Provincia dalla Sardegna è il padre della famiglia cremasca bloccata a La Maddalena per 13 giorni. Il tampone positivo della moglie (al secondo e terzo poi risultata negativa) ha portato la struttura a mettere in quarantena tutti: i tre figli di 10, 7 e 5 anni e il marito, nonostante la loro negatività all’esame. La famiglia aveva fatto appello a istituzioni, stampa e resort che li ospitava per «ripetere il tampone, avere visite mediche e informazioni sul da farsi, fare pure la quarantena ma non in una stanza tre metri per tre, apparecchiando le valigie per mangiare perché non ci sono tavoli e sedie nelle stanze. In condizioni dignitose, almeno». Nel tempo, con l’interessamento di molti, è arrivata una stanza doppia, con giardino. E poi sono stati ripetuti i tamponi, tutti negativi. Quindi, il rientro.
Come trascorrevate quelle giornate?
«Sono state lunghe, troppo lunghe. Per i bambini, purtroppo, tanta tv. Anche se, grazie a un regalo dei vicini di casetta, una famiglia di Parma, sono arrivati dei colori e hanno potuto disegnare. Spesso facevamo insieme questo gioco di immaginare cosa avremmo fatto appena tornati a casa. Io e mia moglie, seduti a distanza ci parlavamo, cercando delle soluzioni. Nel frattempo, io mi occupavo del bucato e di seguire i figli. Fare il mammo, un po’ di tempo lo ha preso, ma il figlio maggiore ha aiutato un poco. Anche per lui non è stato facile, essendo uno sportivo, sempre in movimento e avendo già perso molti dei contatti diretti coi compagni, nel periodo del lockdown, non potendo frequentare in presenza la scuola. Mia moglie ed io siamo anche stati molto al telefono, cercando qualcuno che ci potesse aiutare. Quando sempre questa famiglia di vicini e amici, ormai li possiamo chiamare così, ci portava un bicchiere di vino o qualcosa da mangiare in segno di solidarietà, per noi significava molto».
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