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Andrea Segre, il regista di "Indebito" stasera si racconta a Musicologia. Domani il docufilm al Filo

Il cineasta si racconta

Betty Faustinelli

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bfaustinelli@laprovinciadicremona.it

13 Maggio 2014 - 12:10

Andrea Segre

CREMONA — Andrea Segre, regista classe 1976, sarà ospita oggi a Musicologia per un seminario, organizzato dalla cattedra di Teoria e analisi del film di Elena Mosconi; mentre mercoledì 14 al Filo sarà proiettato Indebito, film realizzato con Vinicio Capossela. Indebito che firma come regista e co-sceneggiatore insieme a Vinicio Capossela, racconta la crisi economica della Grecia dando voce ai cantanti rebetiko, musica, che fin dagli anni Venti, esprime le proteste, la disperazione dei greci.
«Mi ha chiamato Vincio Caposs el a e mi ha chiesto se volevo partecipare al suo progetto — spiega il regista —. La genesi di Inde bito è stata più facile di quanto si possa pensare. Siamo partiti per la Grecia a do cum enta re una realtà che Vinicio Capossela conosce bene e non solo dal punto di vista musicale. Ne è fuoriuscito un lavoro che ha raccontato l’anima dell’essere in crisi che non è solo dei greci ». Non estraneo al cinema di fiction, si pensi al bellissimo La prima neve, il documentario è la formula espressiva prediletta da Andrea Segre che racconta: «Non ho fatto cinematografia, né una scuola di regia—dice — . Ciò che mi ha spinto a prendere in mano una cinepresa è la curiosità di capire ciò che sta dietro alle cose. Sono cresciuto nel Nord Italia degli anni Ottanta e Novanta in cui tutto sembrava perfetto, tranquillo. Quella sensazione mi insospettì ed ho cominciato a voler capire cosa c’era dietro. Non c’era bisogno di andare molto lontano, bastava non credere ciecamente a quello che ti facevano vedere».
Questa voglia di andare al cuore della cose, di incontrare persone, raccontare storie contraddistingue l’estetica e la poetica di Andrea Segre che propone un cinema concreto e reale: «ma attenzione la realtà non basta, concretezza sì ma diciamo che il documentario è l’arte di sublimare la realtà — afferma il regista de La prima neve —. Il racconto documentaristico non è un racconto didascalico, è un narrare che sa farsi poesia, partire dalla realtà per essere emozione e in un certo qual modo parlare oltre la realtà contingente che racconta». E sul fatto che i docufilm oggi abbiano una particolare fortuna Andrea Segre mostra di sapere il fatto suo e di avere idee ben chiare inmerito a un cinema che forse ha disimparato a costruire mondi. «Lo spettacolo televisivo e cinematografico che inventa mondi ha perso in credibilità—spiega il regista —. Magari appassiona il pubblico, ma per tenerlo attaccato ha bisogno di una intensa produttività e serialità che mettono a nudo i meccanismi di consumoedi commerciochestanno amonte. Forse il docufilm va in cerca di quella poesia che né i grandi prodotti commerciali né la tv che narra il quotidiano possono più permettersi».
Sul proliferare della commistione di elementi di realtà e componenti di finzione, Segre individua anche un motivo concreto: «La tecnologia ha abbassato i costi di produzione ed è quindi possibile realizzare ‘f aci lmen te’ testi cinematografici prima impensabili senza strutture produttive articolate — racconta —. Ciò è un vantaggio, ma il rischio è anche quello di una facilità produttiva ma anche di una superficialità narrativa. Non da ultimo credo che l’attenzione ai documentari sia l’effetto di una riscoperta da parte della mia generazione di registi che ha riscoperto l’aspetto documentaristico di Rossellini, Antonioni e Pasolini».
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