Strana partita nella cittadina dove i cognomi finiscono in ‘inox’
Un turista giapponese, che aveva fatto un tour in Europa ma avendo scelto un’agenzia turistica un po’ della mutua dell’Italia aveva visitato solo la Val Trompia, ha annotato sul suo diario di viaggio: «A Mosca i cognomi finiscono quasi sempre in ‘nov’, a Copenaghen finiscono in ‘sen’, a Kiev finiscono in ‘enko’ e a Lumezzane finiscono in ‘inox’».
Fai senza dirlo che non è divertente, ma è la mia vendetta per essermi sorbito una partita di bruttezza pareggiata solo dall’importanza dei 3 punti con cui la Cremo ha lasciato la Val Gobbia, che con noi è sempre così generosa che se va avanti così si gioca la reputazione.
Avvertenza, si è giocato con un pallone che dopo tre calci era già ubriaco di gobbe ciuffi buche zolle assenti e presenti. Ma questo non libera da ogni sospetto una partita in cui la Cremo ha messo il minimo sindacale: un (gran bel) tiro, una (gran bella) parata, oltre a spiccioli rappresentati dalle occasioni che si sono fumati Casoli all’inizio del primo tempo e Biondi appena prima della pausa. Il Lumezzane invece non ci ha messo niente, con una contumacia offensiva alla quale solo i difensori centrali hanno provato a mettere la foglia di fico: Torregrossa non ha avuto uno straccio di palla per difendere la propria fresca reputazione di goleador, Ekuban si è fatto notare solo quando si è falciato da solo. Ma mica è tutta colpa loro, è stata in blocco la squadra rossa e blu come la matita dei professori di una volta a giocare una partita che da ex lumezzanese sia pure di mezzo secolo fa (chissà se la maestra Locatelli si ricorda di me, ero l’unico suo scolaro che pronunciava la esse invece della acca) gli auguro di cuore di non ripetere troppo presto. E insomma i punti sono finiti nella saccoccia giusta, anche se dopo un primo tempo così così (gollone a parte) la prestazione grigiorossa è peggiorata di netto nel secondo (paratona a parte).
Partita bloccata, con le due squadre che si guardavano con sospetto come due che si incontrano in un corridoio buio durante un convegno di serial killer, e il pallone che si divertiva (beato lui) a sbertucciare un po’ tutti, anche coloro che hanno fama di essere possessori di piedi alfabetizzati. Due squadre impegnatissime nel farsi sbagliare e nello sbagliare, una partita che era tutta un inciampo un inghippo un intoppo. Con la Cremo (concentrati, sto per dire due cose quasi inaudite per i nostri eroi) che in difesa aveva il dominio contraereo, e si adattava meglio degli avversari al metro dell’arbitro, avaro più di fischi che di fiaschi. Della Rocca prima ha provato a far segnare gli altri, ma visto l’uso improprio che Casoli ha fatto della palla gol che gli aveva servito ha deciso di mettersi in proprio. Il gol è figlio unico del primo tempo, ma ragazzi che pezzo di figlio: un destro da 30 yarde che avrebbe battuto l’89,6 per cento dei portieri esistenti al mondo (come faccio a essere così preciso? Fidati e basta).
Nel secondo tempo la Cremo è andata come al solito a caccia di grane, che però con questo Lumezzane erano roba da mercato nero. Quando è riuscita a procurarsene una, anche di una certa voluminosità, Bremec ha rispolverato i vecchi istinti deviando la botta a bruciapelo di Belotti. I cambi grigiorossi hanno permesso ai parecchi tifosi di manifestare il loro buonumore con un applausometro generoso, quelli bresciani sono stati utili come provare a risolvere i problemi di sudorazione eccessiva infilandosi due Arbre Magique sotto le ascelle. Ma nessuno si offenda, il Lumezzane era già irreperibile dall’inizio. Nella Cremo ha debuttato Sebastian Zieleniecki che è di Lodz come Arthur Rubinstein e in mancanza di un pianoforte ha subito suonato un avversario: la punizione ha tenuto sulle spine Torrente ma non si è poi presa il disturbo di costituire l’ultima nota di cronaca di una partita le cui pretese estetiche si sono strettamente limitate al risultato.
E così siamo usciti dal Saleri mentre per le strade di Lumezzane si sentivano già i primi presagi di primavera: il frinire delle frese, il cinguettio dei tondini appena nati. Sì perchè da quelle parti per sei giorni si lavora in fabbrica, il settimo giorno si lavora in proprio. Mai visto una massaia lumezzanese ramazzare? Sembra che stia giocando la finale olimpica di curling. Ma non divagherò, perchè resta da dire che in attesa di tempi (e di campi) migliori va bene così, va bene anche questa partita che definirei felliniana se non rischiasse di passare per un complimento. Che di film ne ho visti parecchi ai miei vecchi tempi lumezzanesi, al cinema della parrocchia: Ercoli, Cicciefranchi e Primule Rosse. E sono lusingato che la pro loco in occasione del mio ritorno abbia messo in piedi la proiezione del film con cui la Cremo rilancia la propria candidatura all’Oscar: titolo provvisorio (ma ieri appropriato) La grande bruttezza.