L'ANALISI
13 Aprile 2019 - 18:00
Il direttore Marco Bencivenga
di MARCO BENCIVENGA*
Prima i cori oltraggiosi fuori dal palazzo di giustizia. Poi una minaccia esplicita («Guardati le spalle...») e uno sputo per fortuna non andato a bersaglio. In terza battuta la rivendicazione via internet, perché nessuno potesse dubitare. Nel mirino la collega Francesca Morandi, giornalista de La Provincia, «colpevole» soltanto di fare il proprio mestiere, nel caso specifico di raccontare il processo all’esponente del Centro sociale autogestito Kavarna di Cremona che l’altra mattina si è concluso con una condanna a un anno, 8 mesi e 10 giorni di reclusione per una serie di simpatici reati: violenza, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, lesioni, danneggiamento aggravato. Per esprimere «solidarietà al compagno Tommy», i kavernicoli hanno dapprima sostenuto che «è giusto attaccare polizia e fascisti», poi hanno accusato i giornalisti di «rendere omaggio al loro lavoro di infami» e, per chiudere in bellezza, hanno definito la brava Morandi l’«avanguardia dei pennivendoli di regime». Posto che infame è chi si nasconde dietro una sigla e non chi svolge il proprio lavoro firmandosi con nome e cognome, è evidente che Cremona tutta - le forze dell’ordine, la Procura della Repubblica, la Prefettura, la città, i partiti impegnati nella campagna elettorale – non possono tollerare simili intimidazioni alla libertà di stampa e, ancor più, all’incolumità di una donna. Altrimenti, serve a nulla indignarsi o esporre scarpette rosse l’8 Marzo. Si dirà: Morandi ha presentato denuncia? No, non l’ha fatto. Ma le urla sono state udite da tutti e la rivendicazione è ancora lì da vedere, on line, all’indirizzo csakavarna.org. Sarebbe bello, per una volta, che qualcuno procedesse d’ufficio. Senza paura. Con la forza delle istituzioni.
*direttore del quotidiano La Provincia di Cremona e Crema
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