L'ANALISI
L’ARTE CREMONESE PROTAGONISTA. LE FOTO
19 Novembre 2025 - 10:19
CREMONA - Vagheggiato, annunciato, promesso e garantito a ogni tornata elettorale, auspicato da più parti e da talmente tanto tempo da aver assunto connotazioni quasi mitologiche, il Museo del Novecento è una realtà. Lo apre, con la benedizione della Soprintendenza che ritiene la collezione di «eccezionale interesse storico-artistico», don Pietro Bonometti, che mette a servizio del pubblico e in particolare degli studiosi gli oltre novemila volumi della sua biblioteca e un migliaio di opere tra dipinti, sculture, disegni, bozzetti e medaglie. Storico dell’arte - le sue due tesi, corposissime, troneggiano sulla scrivania della biblioteca -, a lungo insegnante, maestro d’arte, sacerdote da oltre mezzo secolo, monsignor Bonometti ha raccolto con passione, gusto e competenza il testimone dallo zio, don Dante Bonometti (1909 - 1965), a sua volta appassionato collezionista. Il risultato è un corpus di opere che raccontano l’arte cremonese di fine Ottocento e quella del secolo scorso, gli artisti e le loro storie, le relazioni, il loro rapporto con il mondo, talvolta le ossessioni. Al primo piano di via Marmolada, al civico 10, nelle cinque sale che attendono i visitatori ci si immerge in un passato recente che sa parlarci anche oggi. L’inaugurazione è in programma il prossimo sabato 29 novembre alle 17 ed è rigorosamente a inviti, perché gli spazi espositivi sono raccolti. Ci sarà Gabriele Barucca, ex soprintendente e storico dell’arte.
All’appello degli artisti, non manca praticamente nessuno: dai cugini Antonio ed Emilio Rizzi, da Mario Biazzi a Felice Abitanti, da Massimo Galelli a Iginio Sartori, da Sereno Cordani a Sergio Tarquinio, da Giuseppe Tomé, da Alfredo Signori a Carlo Vittori, da Graziano Bertoldi a Cirillo e Cornelio Bertazzoli, da Piero Ferraroni a Dante Ruffini e a moltissimi altri.
Imponente e di grandissimo interesse è la collezione grafica: disegni e bozzetti raccontano quasi sempre le opere che verranno, le prove e i ripensamenti, gli studi, i corsi e ricorsi di un gesto o di uno sguardo, di una posa. Tutte raccontano la città e un’epoca di grandi trasformazioni. Ci sono i paesaggi padani - e com’era diverso e selvatico il grande fiume -, ci sono viottoli e cortili, strade innevate, ritratti di donne eleganti e casalinghe in vestaglia che spicciano le faccende di casa. Cremona era - ed è - una città di provincia, ma non slegata dai grandi processi culturali, dall’evolversi di mode e correnti. Le opere attraversano le epoche e gli stili, le sensibilità individuali.
Tomé, per esempio, ha ventisette anni quando va a combattere sul Carso e ci va portandosi dietro anche i pennelli, i cartoncini, gli acquerelli. Già nel 1914, a poche settimane dall’inizio del conflitto, dipinge una scena apocalittica che preconizza quella che papa Benedetto XV definirà l’«inutile strage»: un cavaliere scheletrico su un altrettanto scheletrico cavallo bianco avanza calpestando corpi nudi e lividi, spogliati di ogni divisa. Il piccolo formato non rende meno drammatica l’opera, anzi.
Ma in realtà ogni dipinto, ogni scultura, ogni bozzetto ha qualcosa da dire, dettagli che stupiscono. C’è un bassorilievo di Alceo Dossena esposto accanto a una fotografia di Maria Eva Duarte de Perón: proprio lei, Evita, che ha avuto modo di ammirare l’opera a Buenos Aires nel 1948, a una mostra dedicata allo scultore cremonese. I ritratti sono un gioco di specchi: amici tra loro, molti artisti si ritraevano l’un l’altro oppure si sono autoritratti e l’esito è sorprendente, è un rilancio di sguardi. Don Bonometti passa da un’opera all’altra, spiega, racconta, sottolinea i rimandi, gli intrecci e le relazioni. L’arte lo accompagna da sempre, collezionare è questione di famiglia. Si è laureato a Bologna con Anna Ottani Cavina, docente anche a Yale e alla Columbia University, e molti dei suoi professori erano di scuola longhiana. «L’ultimo esame - ricorda - l’ho dato con Umberto Eco, era Semiologia».
L’idea di trasformare in un museo la sua collezione è nata nel periodo successivo al Covid, da conversazioni e confronti con Rita Bertoldi, miniaturista e restauratrice di materiali cartacei e pergamene che in questa avventura lo sta accompagnando passo passo. Che senso ha collezionare?, si sono chiesti. «Metto tutto a disposizione del pubblico, degli studiosi», dice don Bonometti, «è un servizio che offro alla città». La Soprintendenza, informata dall’inizio, ha seguito e sostenuto con attenzione ed entusiasmo i vari passaggi, ritenendo appunto la collezione di eccezionale interesse. Tutto è stato catalogato e digitalizzato, le opere artistiche - di cui sono ricostruiti anche i vari passaggi di proprietà -, ma anche i libri e le riviste. Perché anche la biblioteca è di grande rilievo e non solo per i numeri dei volumi. Il patrimonio librario del Centro studi è costituito da opere di storia della Chiesa, storia, storia dell’arte, teologia, filosofia, letteratura, storia e arte locale, agiografia, architettura, iconografia e iconologia, archeologia e archivistica. Ci sono i cataloghi originali dei Premi Cremona e altre città italiane come Bergamo, Venezia e Milano e quelli delle prime Esposizioni Internazionali d’Arte e delle prime Biennali che hanno avuto luogo nelle maggiori città italiane, di cui i più antichi risalgono alla fine del XIX secolo. Il Centro studi è nato nel 2023, l’idea è quella di essere un punto di riferimento e al tempo stesso un luogo di confronto, studio e ricerca. Don Bonometti ne è presidente, Rita Bertoldi la vice. I consiglieri sono: Paolo Fabio Carraro, Ivano Roal, Aurora Vecchi Roal e Annibale Canapa, mentre Chiara Di Pretoro è la responsabile di archivio e biblioteca. A fine mese, si parte.
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