L'ANALISI
10 Febbraio 2025 - 05:15
CREMONA - Due vite, una lunga, l’altra più breve, molto diverse ma entrambe intense. La prima è scritta nelle fotografie che erano affisse alle pareti. « Brigitte Bardot: ho conosciuto lei e tanti altri personaggi famosi quando lavoravo come barman negli alberghi più esclusivi di Milano. Ogni volta che tornavo a casa i miei amici non ci credevano e mi sfottevano. Ma non mi importava perché sapevo che era vero».
La seconda vita è scolpita nei tre diplomi sul tavolo: «Ho studiato tanto per dare il meglio di me come infermiere all'Istituto Ospedaliero di Sospiro».
Ivano Tortini, 76 anni, 35 dei quali trascorsi ad assistere anziani e malati, si guarda indietro: «Posso dire di essere un uomo fortunato anche se è passato tutto in un volo».
Le fiamme danzano nel camino della legnaia trasformata in taverna, a fianco della villetta di San Salvatore, frazione di Sospiro. Intorno quadri, libri, raccolte di vecchi giornali. Il padrone di casa, originario di Pieve San Giacomo, attende nel vialetto vicino al panificio chiuso da tempo del piccolo paese. Gioviale, estroverso, un po’ guascone, introduce nel suo regno e comincia a raccontare partendo dal 1967.
«Viene un mio parente e fa a mia mamma, Filomena: ascolta, non potrei portarmi questo ragazzino a Milano? Lei accetta, io faccio le valigie». A 16 anni il figlio si ritrova catapultato dalla campagna alla città, dai ritmi lenti alle luci accecanti.
«Ho iniziato all’Hotel Francia Europa, in corso Vittorio Emanuele, dietro al Duomo. Le prime notti dormivo da quel nostro familiare. Poco dopo ho trovato un mantovano, un certo Federici: 'Lì sei sprecato, ci penso io'. E mi fa entrare come barman all’Hotel Principe di Savoia, vicino alla Stazione Centrale. Non so se mi spiego? I camerieri in livrea e con i guanti bianchi: il primo giorno ero spaventato, ma mi sono fatto forza».
Tra quelle mura si dava appuntamento il bel mondo: attori, registi, artisti, imprenditori. «Ho servito Brigitte Bardot. Stupenda, favolosa, quasi una visione, non credevo ai miei occhi. Ricordo che quella sera era scalza, e come lei Gigi Rizzi, il famoso fidanzato del momento. B.B., ovviamente, l'ho riconosciuta subito, chi era lui invece l'ho appreso solo dopo. 'Signora, signore, cosa gradite?'. Dovevo fare l'inchino. Rizzi se l’è presa di brutto con i paparazzi, che però hanno continuato a scattare passandoci poi le foto».
Del Principe di Savoia era un habitué anche Luchino Visconti. «Si sedeva in veranda, era gentile, veniva con Helmut Berger, il protagonista di 'Ludwig'. Mi sono ritrovato faccia a faccia anche con Pietro Annigoni, il pittore delle regine. Non era facile rapportarsi con quelle gente, ma ho avuto bravi insegnanti tanto che ricordo ancora i loro nomi: Zola, il primo barman, e Ulisse, il secondo. Io ero l’ultima ruota del carro, ma guadagnavo bene».
Collegato all’albergo c’era il Parco delle Rose, dove si suonava e cantava. «Si esibivano cantanti come Patty Bravo e Fausto Leali. Noi del personale dormivamo all'ultimo piano, eravamo quasi tutti uomini, poche le donne. Per qualche mese, all'occorrenza, sono stato anche al Gallia, un altro albergo leggendarie, il preferito da Omar Sivori».
Il ragazzo di campagna tornava a Pieve San Giacomo in treno la domenica pomeriggio e ripartiva il lunedì mattina. A Milano è rimasto sino al 1970. «I favolosi anni '60 io li ho visti da vicino. Posso dire di essermi divertito».
Poi è rientrato definitivamente per restare accanto alla futura moglie, Mirella, che gli ha dato due figlie e un figlio. «È stato un passaggio traumatico, anche perché non sapevo fare niente, a parte preparare cocktail e aperitivi. Come non bastasse, avevo finito la seconda media senza nemmeno iniziare la terza. E così ho presentato domanda all’Istituto di Sospiro».
È stato assunto all'età di 22 anni . «Il messo ha bussato alla cascina dove abitavo allora: 'Da domani è dentro'. Ho cominciato come ausiliario. Partivo da zero, non ero nemmeno capace di lavare un malato. La sera mi sfogavo con mia moglie: Mirella, mi spiace, ma non sono contento. E così ho ripreso a studiare e, frequentando i corsi serali al Vacchelli, ho completato in un anno i tre delle medie. Ma volevo andare più avanti. Mi sono iscritto alla scuola presso l’ospedale Maggiore riuscendo a diventare infermiere generico, poi infermiere professionale, dopo ancora con l’abilitazione alle funzioni direttive: il caposala. Il mattino, con il mio amico Aurelio, timbravo il cartellino, il pomeriggio correvo a lezione».
Ha portato la sua esuberanza, la sua vitalità contagiosa tra i pazienti, anziani e malati con handicap psichici. «Sono stato il primo ad accompagnarli in discoteca, li caricavo su un furgoncino, e via a San Giovanni in Croce o nel locale vicino all’Iper. Una cosa fuori dal normale. Qualcuno di loro, camminando piano piano, è venuto a trovarmi qui, ma ora sono quasi tutti morti. Organizzavo anche feste nel giardino dell’Istituto chiamando amici che suonavano gratis, momenti di svago aperti a tutti, ai familiari dei pazienti e alla gente del paese. E pure pranzi indimenticabili, allora c’era la cucina interna».
Si è impegnato anche nell’assistenza domiciliare e nel mondo del volontariato. «Con un 'Ciao' e la borsa di pelle mi recavo a casa di chi aveva bisogno per misurare la pressione o fare le punture».
Di quei giorni sono rimasti i tabarri che gli venivano dati come ricompensa. «Ho sempre avuto una passione per quei mantelli. A volte erano utilizzati come coperte sulle auto». Apre l’armadio nella stanza al primo piano. «Degli otto che possedevo ne sono rimasti tre, uno apparteneva a mio nonno Giuseppe».
Allo Ios ha dedicato metà dei suoi anni. «Sono stato testimone della sua profonda trasformazione che lo ha portato ad essere una delle realtà all’avanguardia in questo settore. Ho incontrato persone squisite, sia colleghi che dirigenti, compresi quelli attuali: auguro loro ogni bene. Certo, non pretendo di essere piaciuto a tutti. Se posso, vorrei spendere una parola per gli infermieri ausiliari, una figura di cui non interessa niente a nessuno e che viene sempre dimenticata, eppure è fondamentale, insostituibile. Un mestiere che richiede generosità e spirito di sacrificio, bisogna avere davvero la vocazione». Il pensionato dalle due vite riappende le fotografie alle pareti e arrotola i diplomi sul tavolo.
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